Quando una punizione diventa la tua vita.
Era il Gennaio del 1997 quando – per motivi disciplinari reiterati nel tempo – i rappresentanti dell’Istituto Tecnico Industriale statale di Corsico che frequentavo, decidono di allontanarmi dalla scuola definitivamente.
Stesso Istituto che in quel periodo frequentava anche mio fratello maggiore: lui però con buoni risultati sia disciplinari che didattici, con estremo stupore dei professori che avevamo in comune (vista la differenza caratteriale tra noi).
Fu così che a 15 anni diedi la più grossa delusione ai miei genitori.
Mio padre, uomo tutto d’un pezzo, avrebbe potuto perdonarmi qualsiasi cosa, tranne il fallimento scolastico, ma se ne fece una ragione. Purtroppo, non era nella posizione di farmi proseguire gli studi, vista la decisione inderogabile della scuola.
Quindi, in accordo con mia mamma, decisero che non avrei passato nemmeno un giorno a casa nell’attesa che qualcosa succedesse nella mia vita.
In quel periodo, la mia famiglia aveva un’azienda di produzione di pasta fresca a Buccinasco, con annessa la relativa rivendita al dettaglio. Dunque, fin dal giorno successivo sveglia alle 4.30 in direzione pastificio. Non avete idea di quante migliaia di uova ho rotto in quegli anni.
Poco tempo dopo mio padre, grazie ad amici commercianti limitrofi, mi diede la possibilità di lavorare altrove, così da “capire come gira il mondo” e assumermi finalmente le mie responsabilità.
Ed eccole due possibilità.
Alla sinistra del nostro capannone c’era una bottega di un barbiere, lo stesso barbiere da cui andavo a tagliarmi i capelli. Il classico barbiere con poster di donne nude attaccati alle pareti, i giornaletti piacevoli, il cavallino per i bambini e la nebbia generata dal fumo di sigaretta che la faceva da padrone.
Alla destra del capannone invece, c’era un distributore di benzina con annesso autolavaggio.
Era il 7 Febbraio 1997, una giornata fredda e grigia, e l’unica cosa che ho pensato è stata: “A lavare le macchine con questo freddo ci lascio le penne” e quindi, senza pensarci troppo, presi la mia decisione: Vado da Vincenzo e Gino a fare il garzone in barberia.
Ovviamente, non mi aspettavano giornate felici e rilassanti. Gino il barbiere era noto come “Gino bestemmia” e Vincenzo era più famoso in paese per le sue doti di picchiatore che di barbiere.
Ma il fatto che in barbieria fossero sempre in compagnia di altre persone e che spesso si fermassero con i clienti a bivaccare tra aperitivi e carte da gioco, mi fece pensare che la mia fosse la scelta migliore e più furba.
Quello che però non sapevo, è che tutto avrei fatto tranne il barbiere, tantomeno all’inizio: il ruolo del garzone di bottega era una posizione piuttosto scomoda e poco piacevole.
Le mie mansioni principali erano: andare a prendere da bere, andare a comprare la focaccia e portarla dal macellaio a farla farcire con la mortadella.
Ovviamente si trattava di un’abitudine consolidata, per cui i vari commercianti sapevano perfettamente cosa avrebbero dovuto darmi. Quindi, entrando nelle loro botteghe, dovevo solamente ritirare e/o consegnare. Il resto veniva da sé: “Vai ragazzo, questo portalo di la”, e poi “Vieni qui dammi la focaccia che la riempiamo”. Entrambi i commercianti poi, mi seguivano in barbieria. Mi ci volle poco per capire che il barista e il macellaio erano i “compagni di merende” di Gino e Vincenzo. Il Signor Antonio aveva l’ordine di consegnarmi una bottiglia di Pinot Nero con 7 bicchieri quando mi vedeva arrivare, mentre Luigi, il macellaio detto Il Bologna, veniva avvisato del mio arrivo con la focaccia da farcire attraverso un segnale ben preciso: 3 pugni al muro confinante tra la barbieria e la macelleria; a quel punto Il Bologna confermava la sua disponibilità rispondendo al segnale con altrettanti colpi sulla parete.
Una volta capita la dinamica, tutto mi sembrò più semplice.
Per quanto surreale, vivere quella situazione era eccezionale per me, perché mi faceva sentire parte di un gioco segreto sconosciuto a molti. Ma non dimentichiamoci che lavoravo in una bottega di barbiere, non in un locale che serviva aperitivi, quindi più passava il tempo, più mi chiedevo quando avrei iniziato a fare qualcosa che potesse assomigliare ad una mansione adatta al luogo che non fosse semplicemente spazzare per terra miliardi di capelli tagliati, spolverare bancone e vetrinette e pulire il bagno (una fantastica turca anni ’70.. per cui vi lascio immaginare la gioia!).
Quel giorno arrivò, ed ecco il mio primo compito: fare uno shampoo ad un cliente.
Lo so, posso sembrare esagerato, ma non vi nego che ero molto agitato.
Era uno dei classici clienti del sabato mattina, il cliente-amico insomma, quello che viene tutti i sabati a farsi lavare e pettinare i capelli.
Quel giorno non lo scorderò mai.
Si chiamava Pasquale e ogni sabato mattina alle 10.00 era da noi in negozio, veniva per lavare i capelli, farsi dare una rasata sul collo e pettinarsi, stop! Quello che mi colpiva di Pasquale, avendolo visto già più volte in barbieria, era che ogni volta che lo pettinavano gli mettevano una quantità di lacca impressionante, ma tanta da creare la nebbia in negozio. Non avevo però la malizia di prestare attenzione a cosa facessero i clienti durante il servizio e che tipo di taglio richiedessero. La realtà è che in quel momento storico, non nutrivo alcuna passione per questo mestiere, ero lì perché costretto, ma fondamentalmente non mi importava veramente.
Ma torniamo a noi: mi metto all’opera, trasmettendo sicurezza e con il classico atteggiamento spocchioso che mi contraddistingueva, senza far trasparire minimamente la tensione che in realtà mi stava assalendo nel mettere le mani in testa per la prima volta a un cliente, nonostante dovessi solamente lavargli i capelli.
Ci tengo a sottolineare che erano gli anni Novanta e che le mode in quegli anni erano tutt’altro che sobrie.
Dunque: posiziono la salvietta sul petto del cliente, l’asciugamano sulle spalle, apro i rubinetti dell’acqua, la miscelo per portarla alla temperatura corretta e – quando è tutto pronto – lo invito a portare il capo in avanti e posizionarlo sul lavandino.
Alzo il doccino e, appena il primo getto d’acqua tocca la testa di Pasquale, vedo tutti i suoi capelli crollare e cadere improvvisamente nella vasca del lavabo lasciandolo completamente calvo.
Alzo le mani di botto, lascio immediatamente il soffione dell’acqua e grido:” Ginooooo!!
Gli sono caduti i capelli!!!”
Non mi ero reso conto che tutta la barbieria si era fermata e mi stava osservando durante tutta l’operazione, sentii però molto bene l’acuta risata generale esplosa al mio grido d’aiuto.
Insomma, era tutto combinato, clienti e barbieri stavano solo aspettando il mio collasso cardiaco improvviso per svelarmi che, quella che poteva sembrare la folta chioma di Pasquale, in realtà era una costruzione di capelli creata per coprire la piazza che la faceva da padrone sulla sua testa. Pasquale aveva il classico “riportino”: una zona di capelli lasciati apposta molto lunghi che andavano a coprire la calvizie e venivano quindi fissati con tonnellate di lacca! Ecco quindi spiegata anche quella strana pratica che vedevo ogni sabato mattina alle 10.00!
Mi arrabbiai come un matto, ero stato preso in giro pubblicamente e deriso da tutti i presenti in negozio e, vi garantisco, di sabato mattina l’affollamento era notevole.
Ma quello fu il giorno in cui entrai a far parte ufficialmente del gruppo di amici del barbiere. Facevo parte dello staff della barbieria e tutti i loro amici adesso erano anche amici miei.